Il valore invisibile: il lavoro di cura che sostiene l’Italia

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Il ritratto del caregiver in Italia: un divario di genere

Esiste un motore economico che vale decine di miliardi di euro e che alimenta la società italiana ogni giorno. Non ha sede in borsa, non compare nei bilanci aziendali e non paga tasse. È un motore silenzioso, diffuso e quasi invisibile, che funziona grazie all’energia, al tempo e alla dedizione di milioni di persone. Questo motore è il lavoro di cura non retribuito, e in Italia ha un volto prevalentemente femminile. Quella del caregiver familiare non è una questione privata, ma un pilastro colossale e non riconosciuto su cui si regge l’intero sistema di welfare nazionale.

Un uomo e una donna su due piattaforme separate, che simboleggia il divario di genere nel lavoro e nella società

La disparità in numeri del gender gap

Per comprendere la portata del fenomeno, è necessario partire dai numeri. I dati rivelano un quadro in cui il divario di genere non è un’astrazione, ma una realtà misurabile in ore e percentuali. 

Secondo le più recenti rilevazioni ISTAT, in un giorno medio una donna in Italia dedica ben 5 ore e 9 minuti al lavoro non retribuito (cura della casa, assistenza a figli o anziani), più del doppio rispetto alle 2 ore e 16 minuti impiegate da un uomo. 

Questo scarto di quasi tre ore al giorno posiziona l’Italia tra i paesi con il più ampio divario di genere nel tempo di cura in Europa, superata solo dalla Turchia.

La disparità non riguarda solo la quantità di tempo, ma anche la costanza dell’impegno. Quasi la totalità delle donne (92,3%) svolge almeno un’attività di cura o lavoro domestico nel corso della giornata, una quota che scende a poco meno di tre quarti per gli uomini (74,6%). 

Per le donne, quindi, la cura è una costante quotidiana; per una parte significativa degli uomini, un’attività occasionale. Questo lavoro, fornito in maggioranza da donne (circa il 60% dei caregiver familiari), è diretto principalmente a familiari non autosufficienti, anziani o bambini, rimanendo confinato tra le mura domestiche.

Primo piano di licheni e muschio in un ambiente naturale, metafora delle radici profonde del divario di genere

Il valore economico del divario di genere

Se questo tempo avesse un prezzo, quale sarebbe il suo valore? Le stime economiche sono sbalorditive. Il lavoro di cura non retribuito, svolto in modo preponderante dalla popolazione femminile, equivale a un valore economico di circa 50 miliardi di euro all’anno. 

Una cifra paragonabile a intere manovre finanziarie, che rappresenta un immenso sussidio non contabilizzato all’economia nazionale. In termini di volume, l’ISTAT ha calcolato che il monte ore complessivo di lavoro non retribuito supera i 71 miliardi di ore annue, un’economia sommersa che garantisce la tenuta del tessuto sociale.

Questa valutazione economica svela una dipendenza strutturale profonda. L’economia formale e il sistema di welfare italiano sono costruiti e sovvenzionati da questo enorme bacino di lavoro non retribuito e di genere. 

La sua invisibilità non è un caso, ma una caratteristica fondamentale dell’attuale modello socio-economico. Se questo lavoro dovesse essere improvvisamente retribuito al valore di mercato, il costo per le famiglie o per lo Stato diventerebbe insostenibile, rivelando la fragilità di un sistema che dà per scontata questa risorsa gratuita. La presunta “sostenibilità” del nostro welfare si fonda, in larga parte, su questo pilastro nascosto.

IndicatoreDonneUomini
Tempo medio giornaliero lavoro non retribuito5 ore e 9 minuti 2 ore e 16 minuti 
Frequenza giornaliera di coinvolgimento nel lavoro di cura92,3% 74,6% 
Diverse sagome di persone colorate rappresentano la società, simboleggiando il superamento del divario di genere

Il prezzo della cura: una tripla penalizzazione per le donne e per il Paese

Il peso di questo lavoro invisibile non è senza conseguenze. Al contrario, genera una tripla penalizzazione che si ripercuote sulle donne a livello professionale ed economico, e sull’Italia intera in termini di crescita mancata. Il costo della cura viene pagato da tutti, anche se in modi e tempi diversi.

La penalizzazione professionale: un percorso deviato

L’ostacolo più diretto e immediato è quello professionale. Il carico di cura, specialmente con la nascita dei figli, agisce come un potente deviatore di carriera, innescando la cosiddetta “penalizzazione della maternità”.

I dati ISTAT mostrano una divergenza netta: se il tasso di occupazione per le donne tra i 25 e i 49 anni senza figli piccoli si attesta a un incoraggiante 77,5%, crolla al 56,6% per le madri con almeno un figlio sotto i 6 anni. 

Questo abisso di oltre 20 punti percentuali rappresenta la misura del sacrificio professionale che la cura impone. La situazione è ancora più evidente nel Sud, dove lavora appena il 38% delle madri con figli in età prescolare.

Per molte donne che rimangono nel mercato del lavoro, la soluzione obbligata è il part-time. Il 12,5% delle lavoratrici dipendenti ha un contratto a tempo parziale, contro appena il 5,2% degli uomini. 

Un dato cruciale, tuttavia, è che per una quota altissima di queste donne non si tratta di una scelta, ma di una necessità dettata dall’impossibilità di conciliare gli impegni di cura con un lavoro a tempo pieno. È il fenomeno del part-time involontario, una delle principali cicatrici che il divario di genere nella cura lascia sul mercato del lavoro.

Questo porta a interruzioni di carriera, con oltre l’11% delle madri che dichiara di non essere mai stata occupata per potersi dedicare ai figli, e a una forte segregazione occupazionale. Le donne risultano sovrarappresentate in settori a minor remunerazione, come la sanità e l’istruzione, e sottorappresentate nei campi STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), che sono invece a più alta crescita e retribuzione.

Fiore rosa ricoperto di polline, metafora delle nuove idee di PANDO Labs e della domotica assistenziale


La penalizzazione economica: uno svantaggio che dura una vita

La penalizzazione professionale si traduce, inevitabilmente, in una severa penalizzazione economica. Se il divario retributivo orario (gender pay gap) a parità di mansioni si aggira intorno al 5,6%, il dato più allarmante è il divario salariale complessivo annuo. 

Il divario si accumula anno dopo anno, traducendosi in una minore capacità di risparmio, minori investimenti, e in contributi pensionistici più bassi. 

La conseguenza è una maggiore vulnerabilità economica e un rischio di povertà più elevato in età avanzata. Il lavoro di cura non retribuito svolto da una donna a 40 o 50 anni pone le basi per la fragilità economica di quella stessa donna a 70 o 80 anni.

Macro del polline di un fiore giallo, simbolo di crescita e innovazione come la domotica assistenziale di PANDO Labs


La penalizzazione nazionale: un freno alla crescita dell’Italia

Quando le penalizzazioni individuali si sommano su scala nazionale, il risultato è un potente freno allo sviluppo economico del Paese. Le analisi della Banca d’Italia sono inequivocabili: la cronica sotto-utilizzazione del talento femminile è una delle principali debolezze strutturali che impediscono all’Italia di esprimere il suo pieno potenziale di crescita.

Colmare questo divario di genere in Italia non è un costo, ma uno dei più grandi investimenti possibili per il futuro. 

Una simulazione della Banca d’Italia ha stimato che il calo demografico previsto comporterà una riduzione del PIL del 7,6% entro il 2050. Tuttavia, se il tasso di occupazione femminile raggiungesse quello maschile, la perdita si conterrebbe all’1,7%.

Il percorso che lega un’ora di cura non retribuita a un punto di PIL perso è diretto e tracciabile. Parte dalla sproporzione del carico domestico, causa una penalizzazione professionale (lavoro part-time, interruzioni), che a sua volta genera una penalizzazione economica (minori guadagni, minori pensioni), e infine si manifesta a livello aggregato come minore produttività, minori entrate fiscali e crescita economica soffocata. 

Il divario di genere nella cura è, a tutti gli effetti, un motore primario sia della vulnerabilità economica individuale sia della sottoperformance economica nazionale.

Foto macro di polline su un fiore: PANDO Labs condivide conoscenza e innovazione con la Domotica Assistenziale.

Conclusione

In conclusione, il lavoro di cura non retribuito emerge non come una questione privata, ma come un pilastro strutturale e non riconosciuto dell’economia e del welfare italiani. 

Come abbiamo visto, il prezzo di questa invisibilità si manifesta in una triplice penalizzazione: professionale, con carriere deviate e un’esplosione del part-time involontario ; economica, con un divario salariale annuo che si accumula per tutta la vita ; e infine nazionale, con un freno sistematico al potenziale di crescita del Paese.

Questa situazione non è frutto del caso, ma il risultato di un circolo vizioso che si autoalimenta, in cui stereotipi culturali profondamente radicati si saldano con le carenze di un sistema di welfare che delega la responsabilità dell’assistenza alle famiglie.

La piena comprensione di queste dinamiche è il primo, indispensabile passo. 

Riconoscere che la sostenibilità del nostro modello sociale si fonda su questo immenso sussidio non contabilizzato svela la fragilità del presente e impone una riflessione profonda sul valore che, come società, attribuiamo al lavoro di cura e a chi, prevalentemente, lo svolge.



Fonti: